domenica 26 febbraio 2017

MEZZ'ORA DI SCIOPERO

Mercoledì 22 Febbraio scorso i lavoratori della linea T2 e dell'area sequenziamenti (reparto trasmissioni) si sono fermati mezz'ora in sciopero – dalle 7,30 alle 8 – in protesta contro un'azienda che per l'ennesima volta li ha fatti iniziare a lavorare in un ambiente di lavoro totalmente al freddo.

Da mesi denunciamo:

l'assenza di un impianto di riscaldamento adeguato nell'area del reparto dedicata al sequenziamento dei riduttori e dei sollevatori;
il fatto che il lunedì le caldaie vengano accese poco prima dell'inizio dei turni di lavoro, in particolar modo nei fine settimana più rigidi;
l'assenza di una manutenzione/riparazione degli aerotermi e dei nastri riscaldatori che non funzionano;

misure atte a limitare le tante correnti d'aria fredda presenti nell'officina. 

Jesi, 27 febbraio 2017       La Rsa della Fiom-Cgil

OFFICINA 2

Nell’incontro avvenuto il 20 febbraio fra la direzione aziendale e la Rsa della Fiom Cgil, l’azienda ha spiegato ciò che intende fare nei prossimi mesi in officina 2.

Per l'azienda sono da ritenersi oramai effettivi i tempi rilevati in tutte le linee tranne che sul tratto A2 e sui nuovi modelli del TK (cingolato) e dell' UT64, il cui lancio è previsto tra marzo e aprile. Lo stesso vale per il nuovo specialty (SP20) che sarà assemblato sui tronchi B.

La B2 prossimamente sarà esposta a due nuove fasi di riorganizzazione del lavoro, che interesseranno le prime nove postazioni. La prima fase vedrà l’ingresso nella linea di nuovi kit, più piccoli, che andranno a sostituire il “kitterone” attuale presente fra le macchine. La seconda fase riguarderà lo spostamento di lavoro dalla linea ai sottogruppi. In questo caso l’azienda effettuerà un ribilanciamento dei tempi.

Come Fiom-Cgil abbiamo chiesto:
la necessità di rivedere la sicurezza e le tempistiche sulle postazioni del calo della cabina (B2) e del montaggio del serbatoio (A2-B2);
che si apra un “tavolo di discussione” capace di affrontare le tante problematiche che si riscontrano sulle linee inerenti il tempo, lo spazio e il metodo di lavoro;
che ai lavoratori sia data informazione del cosa cambia e del perchè, in merito alle continue modifiche che subiscono sulla linea;
che ci sia una correlazione tra quanto prescrive il medico sui giudizi di idoneità e la gestione del personale in officina.

Quello che come Fiom-Cgil continuiamo a pensare è che la strada dell'efficienza può essere percorsa solo se è accompagnata dal miglioramento della condizione lavorativa, oltre che dal mantenimento dell'occupazione dello stabilimento.

Nelle prossime settimane valuteremo se questo incontro avrà prodotto qualche risultato, diversamente saremo costretti a mettere in campo iniziative sindacali di altro tipo.


Jesi, 27 febbraio 2017        La Rsa della Fiom-Cgil

COMUNICATO SINDACALE

Nell'incontro odierno svoltosi tra Cnh e Rsa di stabilimento l'azienda ha confermato il perdurare di una situazione di crisi che vede i volumi produttivi previsti per il 2017 sostanzialmente simili a quelli del 2016 (ricordiamo che l'anno si concluse con 17.000 trattori prodotti e 50 giornate di cassa integrazione). Al momento l'azienda ha escluso qualsiasi riduzione della capacità produttiva dello stabilimento e quindi dell'occupazione, chiarendo anche che la fabbrica disporrebbe ancora di molte giornate di Cigo in riferimento ai limiti di fruizione stabiliti dall'Inps.
In aggiunta a questo ha anche però ribadito che nel caso il mercato non dovesse far registrare nel prossimo futuro una inversione di tendenza, l'ipotesi di passare ai contratti di solidarietà potrebbe essere presa seriamente in considerazione. In virtù di quanto ci è stato comunicato la Fiom-Cgil ha ribadito la necessità di un incontro con le relazioni indutriali della Cnh Industrial.
Di seguito riportiamo la situazione relativa alla cassa integrazione di Febbraio e Marzo. 

Cigo Febbraio

Trattori: 3-10-17 e 24; 
T1 e T2: 10-17 e 24; 
TK: non fa cassa integrazione; 
C1: 10-17 e 24; 
C2: 3-10-17 e 24.

Cigo Marzo

Trattori: 10-17-24 e 31; 
T1: 24 e 31; 
T2: 17-24 e 31; 
TK: non fa cassa integrazione; 
C1: 17-24 e 31;
C2: 10-17-24 e 31.

Se nella giornata del 29 Marzo dovesse essere confermata la manutenzione da parte di Eni dell'impianto di gas-metano dello stabilimento con la conseguente interruzione della corrente elettrica, la giornata di Cigo del 31 Marzo (nel caso in quel giorno lavorerà regolarmente tutto lo stabilimento) sarà anticipata a mercoledì 29 Marzo.

Premio efficienza

Il premio sarà erogato ai lavoratori nella busta del mese di Febbraio, e l'importo sarà comunicato nel pomeriggio del giorno 7 del corrente mese. La somma sarà da subito soggetta a tassazione agevolata del 10%.

Audit Wcm 

E' previsto per le giornate del 13 e 14 Marzo.


Jesi, 1 Febbraio 2017       La Rsa della Fiom-Cgil

CNH JESI: UNA CRISI E IL SUO DECALOGO

Al fondo il punto vero su cui crediamo valga la pena interrogarci oggi è uno solo, “come uscirà la fabbrica di Jesi dalla crisi?”. Perchè a nostro parere l'idea di uscirne puntando esclusivamente sui restyling dei prodotti (per quanto importanti siano), sull'argento del Wcm, e sul recupero di efficienza delle linee di montaggio, ci pare decisamente poco.
Crediamo invece che occorra rimettere al centro quello che è il vero valore aggiunto dello stabilimento: le persone che col loro lavoro lo popolano e lo mandano avanti tutti i giorni. La vera differenza può farla solo il provare a valorizzare il loro saper fare e la qualità della loro condizione lavorativa. Questo è quello che pensiamo debba essere rimesso in moto. Gli investimenti per quanto necessari da soli non bastano, se non si investe direttamente sulla forza operaia e sul lavoro da essa svolto.
Insomma quello di cui vorremmo discutere non è solo di come si esce dalla crisi in termini quantitativi (più trattori), ma di come si creano le condizioni per “un buon lavoro”, che a nostro giudizio deve essere uno dei presupposti principali per il rilancio dello stabilimento.
L'errore che non possiamo permetterci è aspettare passivamente che passi 'a nuttata. Senza invece provare ad elaborare un progetto di rilancio, una proposta, che seppur non nascondendosi le difficoltà – in questo senso la bacchetta magica non ce l'ha nessuno, neppure l'azienda! -, allo stesso tempo sia in grado di offrire un punto di vista fondamentale: quello dei lavoratori. Consapevoli però di quanto precarioè il passaggio che sta compiendo oggi lo stabilimento, lontano dagli oltre 33.800 trattori prodotti nel 2008 con oltre 1100 persone che ci lavoravano, e i 17.000 (praticamente la metà) a fatica prodotti oggi, con un numero di dipendenti (850) che senza turnover, ogni mese che passa, risulta costantemente in calo.

Il lavoro

Nell'ultimo incontro avvenuto con le segreterie di Fim Fiom e Uilm, dopo due anni esatti dall'inizio della Cigo, a nostro avviso Fiat dice una cosa che segna un salto di qualità significativo e allo stesso tempo preoccupante rispetto allo “scarico” di lavoro dello stabilimento. Le relazioni industriali Cnh dicono infatti che i tempi della crisi del mercato agricolo paiono allungarsi drasticamente. Con la conseguenza che le scelte aziendali prossime non si misureranno più su un paio d'anni di cassa integrazione ordinaria, ma su un arco temporale che potrebbe arrivare fino al 2020.
Su questo crediamo occorrano risposte chiare sin da subito. Da dare ai lavoratori, ai delegati e alle organizzazioni sindacali, e perché no anche alla città e al territorio di Jesi. Risposte che chiariscano di come la Cnh intende difendere la totalità dei posti di lavoro, quanto intende investire, e come pensa di utilizzare al meglio gli ammortizzatori sociali allo scopo di conservare l'interezza delle competenze dello stabilimento.

Straordinario

La crisi c'è per tutti, o per nessuno. Riteniamo del tutto controproducente pensare di superarla dividendo i lavoratori tra chi guadagna 100/200 euro al mese in più perché fa gli straordinari (mai produttivi), e chi invece sta in “cassa” tutto l'anno e al 31/12 rimette di tasca propria attorno alle 2000 euro.
Occorre ridurre questa forbice e far tornare lo straordinario al carattere dell'eccezionalità, non solo perché fatto in questa maniera abbassa il premio aziendale (tanto osannato da firmatari e azienda!) erogato a febbraio di ogni anno, ma soprattutto perché mantiene inalterate le tante criticità e inefficienze dell'organizzazione del lavoro che si continua a non affrontare. Per questo ci siamo rivolti all'Inps provinciale.

Ergonomia

Da anni l'ergonomia è stata una delle parole più usate dalla propaganda aziendale, ma alla stessa maniera è quella che più è rimasta sulla carta.
E' a nostro giudizio uno degli ambiti su cui si è investito meno. Ergonomia dovrebbe significare la creazione di un lavoro che tiene conto del mix migliore tra spazio, tempo, metodi e salute del lavoratore. Dovrebbe significare l'aver cura del suo “benessere” per metterlo nella condizione di svolgere al meglio il proprio compito lavorativo. Possiamo dire che oggi è così? Certamente no. Seppur precisando che non riscontriamo la stessa condizione lavorativa su tutto lo stabilimento, pensiamo che su questo tema occorra un salto di qualità.
Manca la presenza costante di un ergonomo. Ma oltre a questo servono soprattutto investimenti sul processo produttivo, risorse da spendere in metodi e attrezzature di lavoro che diminuiscano la fatica e la scomodità di certe postazioni.
Quanto sosteniamo è cruciale perché in una fabbrica con una età media di 48/49 anni e con lavoratori (spesso gli stessi) che da decenni lavorano alla catena di montaggio con ritmi di lavoro sempre più spinti, il rischio di rompersi alle schiene, alle spalle, alle braccia o alle mani, aumenta considerevolmente. Come spiegare sennò i tanti lavoratori che oggi lamentano patologie varie quali tunnel carpali, ernie al disco o dolori alle spalle e alle mani?
Per tutelare al meglio la salute psico-fisica dei lavoratori crediamo sia necessario elaborare un piano di intervento azienda-sindacati straordinario, capace di individuare al meglio questo tipo di problematiche e risolverle.

Sicurezza

Anche sulla sicurezza occorre fare da parte di tutti un salto di qualità, a partire dalle relazioni sindacali. A cominciare dal fatto che proprio perchè è materia regolata dalle Leggi dello Stato italiano, e quindi avente fonte giuridica, non possono più sussistere le divisioni contrattuali tra chi ha firmato il contratto e chi ha deciso di non farlo. Proprio perché la sicurezza dei lavoratori non può avere colori di sorta serve ripristinare un tavolo unico di discussione e darsi un metodo che trovi una maggiore efficacia nella prevenzione dei rischi lavorativi delle lavoratrici e dei lavoratori dello stabilimento di Jesi.

Tempo

Il concetto di tempo viene propagandato dall'azienda come un qualcosa di oramai superato, ma alla stessa maniera rappresenta da anni il vero cardine delle politiche aziendali. Agli investimenti sui metodi di lavoro da tempo si è preferito indiscutibilmente il cronometro, e dunque il recupero
dei tempi sulle linee. Quello dell'efficienza è diventato un mantra a tal punto che ci vengono legati gli unici soldi che CNHi eroga ai lavoratori col duplice scopo di: sostituire gli aumenti contrattuali con un bonus, e giustificare agli occhi degli operai il perché devono correre di più sulle linee di montaggio.
Rispetto a questo crediamo che il recupero dei tempi o si accompagna ad investimenti metodologici e tecnologici sul processo produttivo (tali da mantenere inalterati i livelli occupazionali), oppure non funziona. Come pure occorre darsi un metodo diverso per la contestazione del tempo sulle postazioni da parte dei lavoratori. La cui unica cosa che chiedono è di vedersi riconosciuto un tempo giusto per lavorare.

Invecchiamento lavorativo

Strettamente connesso al recupero di efficienza è il tema dell'invecchiamento lavorativo. Serve una gestione del personale che rispetto alle mansioni da svolgere, tenga conto degli anni di linea e dell'età del lavoratore. Semplicemente perché ad una certa età .- soprattutto se in presenza di certe patologie - non si riesce più a stare alla catena.
L'anzianità lavorativa del singolo operaio/a all'interno dello stabilimento dovrebbe essere un valore per l'azienda, e non una condanna.

Wcm

Serve un'altra fabbrica. Più dinamica. Capace di ricostruire la qualità del lavoro e del prodotto su coloro che creano effettivamente la ricchezza. Basta con l'individualismo e con la competizione vuota del propostificio dei “quick” (dove pochissimi fanno tantissime proposte, e la maggiorparte nessuna). Occorre riconoscere i suggerimenti come il risultato di un lavoro di squadra, di gruppo, o di reparto, e valutarne i risultati premiando (con soldi per tutti uguali e non con le merende!) il coinvolgimento dei lavoratori e il raggiungimento degli obbiettivi legati alla qualità del prodotto (potremmo ragionare sugli scarti del fondo linea), della postazione e della sicurezza. A tale scopo bisogna rimettere in questione il sistema premiale interno relativo al Wcm.

Professionalità

Bisogna riaprire una discussione che abbia a tema la professionalità dei lavoratori (sono anni che non viene riconosciuto un livello!) riconoscendo le competenze richieste da certe mansioni, la versatilità di
chi lavora, e individuando nuove figure e percorsi di crescita che possano portare al riconoscimento professionale. Alla stessa maniera servirebbe ripristinare istituti contrattuali quali il superminimo individuale e l'una-tantum. Tutte cose che da anni non si fanno. Non dovremmo dirlo noi, ma quanto sta accadendo ad una parte dei capisquadra – che dopo anni si ritrovano ancora inquadrati come operai - rafforza quanto stiamo dicendo. E cioè il fatto che l'azienda in questi anni ha scelto di ridurre al minimo la valorizzazzione delle competenze lavorative dello stabilimento, e crediamo che questo non dipenda solo dalla crisi, ma da una scelta tutta politica quanto deleteria per lo stabilimento.

Ambiente

Anche questo argomento segna la distanza che passa tra il mero lavorare e il lavorare bene. Se è senz'altro vero che abbiamo fatto un grande passo in avanti partendo nella rimozione dell'amianto e aver preso atto di un piano aziendale di rimozione dell'eternit per i prossimi anni che per parte nostra riteniamo fondamentale, questo non basta. Occorre fare di più per il microclima, e quindi contro il freddo dei mesi invernali e il caldo torrido di quelli estivi. Come occorre affrontare il tema della permeabilità dell'acqua dal tetto in caso di pioggia.
Serve rivedere e chiudere l'area dello scarico del magazzino dove ci pare del tutto incomprensibile e sbagliato far lavorare le persone tutto l'anno all'aperto. Una soluzione davvero poco edificante per una multinazionale come la Cnh, oltre che difficilmente rintracciabile nell'intero panorama industriale italiano.
Per garantire un ambiente salubre occorre anche investire nell'officina 2 in attrezzature/tecnologie capaci di evitare l'accensione dei trattori all'interno dello stabilimento, così da affrontare una volta per tutte il problema dei fumi di scarico dei trattori.

Mensa

A detta di tanti lavoratori il servizio e la qualità/varietà dei piatti della mensa negli ultimi mesi è peggiorato drasticamente. E tale declino è visibile in particolare nei giorni di cassa integrazione. Su questo a partire dal prossimo anno pensiamo si debba riaprire un confronto allo scopo di migliorarla perché così non si può più andare avanti.

Ai lavoratori

In questi anni la Fiom-Cgil, assieme ai suoi delegati, ai suoi iscritti, alle lavoratrici e ai lavoratori che l'hanno sempre sostenuta, è stata capace di dire No come di elaborare proposte concrete per lo stabilimento. Le difficoltà dell'oggi ci impongono ancora una volta questo sforzo. Il nostro auspicio è che questa riflessione per quanto parziale sia, possa trovare assieme ai lavoratori le gambe per il miglioramento e il rilancio della fabbrica in cui lavoriamo. Dicendo sin da subito che quanto abbiamo trattato, non ha a che fare con i problemi contrattuali che a tutt'oggi restano ancora aperti (a partire dal salario), ma con quelli che sono invece i nostri, e che si possono affrontare stando con i piedi e con la testa in questa fabbrica. Se ce ne fosse la possibilità assieme alle altre organizzazioni sindacali e allo scopo di porli all'attenzione dell'azienda.


Jesi, 5 Dicembre 2016        La Rsa della Fiom-Cgil

giovedì 24 marzo 2011

L'INDISPONIBILE AUTONOMIA DEL LAVORO di Rossana Rossanda

«Ritorno di Fiom», un libro di Gabriele Polo per manifestolibri. Le sfide del sindacato metalmeccanico dopo la sconfitta operaia e il ritorno di fiamma del capitalismo liberista. Ma anche un'organizzazione operaia che fronteggia, spesso da sola, la ristrutturazione dei processi produttivi e una cancellazione di diritti incomprimibili dal mercato, spazi di autonomia e rappresentanza diretta nelle fabbriche
Ritorno di Fiom di Gabriele Polo (manifestolibri, pp. 125, euro 14) è un solitario libretto controcorrente. Molto importante perché non si limita a raccontare l'epopea dei Cipputi dal 1994 ad oggi: le tre interviste ai segretari della Fiom che si sono succeduti da allora, Claudio Sabattini, Gianni Rinaldini e Maurizio Landini sono inserite nel processo di declino subìto in Italia della idea del «lavoro» come valore sociale e del «lavoratore» come portatore di diritti non comprimibili dal «mercato».
Era stata una chiave dell'Italia del dopoguerra e pareva l'ovvia conseguenza della democrazia che finalmente incontravamo. Era stata essa a far uscire vittoriosi i lavoratori dai primi anni della «ricostruzione», che era stata stata prima di tutto una brutale ristrutturazione dell'industria bellica. Acciaio e cementi - casa, automobili, elettrodomestici - mutamenti nella proprietà, passaggio del paese da agricolo a industriale, grande migrazione dal sud al nord, non avevano soltanto rovesciato come un guanto l'Italietta, fatto prosperare l'economia e crescere i cervelli, ma sostenuto una sinistra politica e sindacale che negli anni sessanta non aveva pari in Europa. Un grande '68 studentesco si era prolungato nel 1969, anch'esso unico in Europa, una straordinaria stagione di lotte di fabbrica alla conquista non solo di salari ma di una normativa, di spazi di autonomia e di rappresentanza diretta, che parevano acquisiti per sempre. Tanto che gli anni '70 fecero dell'operaio in tuta blu e della fabbrica il simbolo dell'intera società capitalista.
Era una forzatura ideologica postsessantottina? Forse. Il verticalismo del comando sociale - dalla università agli ospedali, dai giornali e fin nell'esercito e alle «istituzioni totali», carcere e manicomio - parevano avere radice nella fabbrica dove l'operaio diventava non più che «accessorio vivente alla macchina». E del suo conflitto, perché accessorio ma «vivente», vivente dunque dotato di coscienza, sola «merce» in grado di dirsi «Ma no, io non sono una cosa, un uomo è un uomo» e ribellarsi a questa condizione. Questo operaio era stato il filo rosso del secolo. In Italia il suo partito aveva animato più di qualsiasi altro la resistenza e dagli anni cinquanta in poi faceva del paese il laboratorio sociale più avanzato d'Europa. Nel quale, dopo il '69, la categoria industriale per eccellenza, i metalmeccanici, avrebbero spezzato i confini delle confederazioni Cgil, Cisl e Uil per congiungersi nell'unica Flm (Federazione lavoratori metalmeccanici), trainante a sinistra.
* * *
Che cosa è tornato a dividerla? E a costringere la Fiom a ricominciare daccapo, a quello che Polo chiama un «ritorno»? Due processi. Uno l'effettivo ritorno di fiamma del capitalismo liberista dei von Hayek che pareva defunto e risorgeva aggressivamente attaccando la versione keynesiana dei Trenta Gloriosi - era l'affermazione di Thatcher e di Reagan contemporanea al declino inesorabile dell'Urss. L'altro processo di natura soggettiva: il ritardo a capirlo della sinistra storica e il suo chiedersi, specie col fallimento dell'Urss, se non avesse sbagliato tutto, e il salto della sinistra radicale che, avendo intuito prima la nuova aggressività del capitale, da una parte denunciava ogni «compromesso» col medesimo, dall'altra vedeva nell'operaio di fabbrica a contratto a tempo indeterminato il nemico sia della libertà di un lavoro autonomo, detto di seconda generazione e reso possibile dal mercato del lavoro proprio del capitale cognitivo, sia della immensa massa a flessibilità totale destinata tendenzialmente a diventare precaria. Il Pci era al medesimo tempo il partito del compromesso politico e il garante di un proletariato classico e già in via di superamento che si sarebbe affidata allo stato facendo di fatto blocco con esso.
L'acuirsi negli anni '70 e '80 dello scontro a tutti i livelli, fino al formarsi di una frangia armata, si sarebbe conclusa con la sconfitta di tutte le sinistre, moderate o radicali. Ma questa resta una storia da fare. Sta di fatto che il Cipputi in tuta blu passava nell'oblio a destra e a sinistra. Ancora oggi, in una proletarizzazione mondiale di figure e mansioni mai così estesa, il primo che passa si sente autorizzato a esclamare: «Ma dov'è finito l'operaio? Non esiste più». Oppure: «La Fiom? Ah si, è veterosindacalismo». Fino a dieci anni fa e al dilagare del precariato, i nuovi soggetti che l'esplosione del '68 aveva liberato - e nuovi erano veramente pur non avendo nulla a che vedere l'uno con l'altro, femminismo ed ecologia - sostenevano che «il lavoro ai giovani non interessa». Così l'iniziativa del capitale, che si decostruiva e ricostruiva mutando tecnologie e organizzazione del lavoro, riducendo e dividendo la manodopera, incrociava anche il risentimento contro un sindacato che rappresentava i «garantiti» e delle problematiche del conflitto dei sessi e della difesa della natura non capiva niente.
Il già sacro «diritto al lavoro» si restringeva sotto la pressione del padronato verso questa o quella forma di «flessibilità», i «tempi parziali», il «just in time», il «call on job». Lo scivolare di parte del sindacato e della maggioranza della sinistra dal «lavoro», come forma del capitale, ai «lavori», mera articolazione sociologica, avrebbe frammentato al massimo, più nelle teste che nei fatti, il salariato, e ridotto del tutto la sua forza contrattuale.
* * *
È in questo desolante panorama che la Fiat propone nei primi anni Novanta la suo nuovo stabilimento di Termoli. Sono passati quasi quindici anni dalla disfatta dei 35 giorni di occupazione e dalla marcia dei 40.000 a Torino. Il nuovo segretario della Fiom, Claudio Sabattini, si trova davanti nel 1994 - velenosa eredità - un accordo che fa paura, e il cui senso è «io porto occupazione in una zona disgraziata e piena di gioventù senza lavoro, voi in cambio rinunciate ai diritti che finora la vostra categoria aveva». L'aria è tale che il ricatto sembra un'occasione, ed è elogiato da tutti. A Termoli non c'è alternativa. Sabattini deve ingoiare, e ingoia. Ma si dice: «Mai più». L'anno seguente, con un convegno a Maratea, la Fiom inizia una strada che è tutta in salita nel rapporto di forza «materiale reale» e nella opinione e cultura politica.
Sabattini diventa per i metalmeccanici, ma solo per loro, una figura mitica. Lo avevano accolto malamente a Termoli, come tutti i sindacalisti, quando aveva dovuto far accettare un accordo ormai irrimediabilmente compromesso: «La parola più gentile che ci dicevano - ricorda - era traditori». Non se lo farà dire mai più. Chi lo ha conosciuto negli otto anni che è rimato al suo posto non può dimenticare con quanta determinazione e collera affermava prima di tutto l'indipendenza della Fiom, che aveva da rispondere soltanto ai lavoratori e cercare soltanto assieme a loro il punto dove attestarsi. Loro non erano solo la gente della sua categoria: quando a Genova, durante la manifestazione degli altermondialisti, viene ucciso Carlo Giuliani, la Fiom partecipa al grande corteo di protesta; contro il parere della Cgil. «Ma questo non è più fare sindacato, è fare politica», gli si obietta virtuosamente dalle sue parti e con acrimonia dalle altre. Può darsi, il sociale diventa a un certo punto lo stesso del politico, egli ribatte - lo diventa nella sostanza, e non ha a niente che fare con l'affidamento a una istituzione altra o a un partito più o meno amici.
Quando nel 2002 Sabattini viene colpito da un male improvviso e mortale, la segreteria della Fiom passa a Gianni Rinaldini. Diversamente da Claudio non viene dai metalmeccanici ma dalla Cgil emiliana, ne ha la ostinazione e saggezza, meno carisma ma non minore determinazione di Claudio e «tirerà» la metallurgia ogni anno su di un metro, forse due, firmando accordi e non firmando, abile nel dividere un padronato che non sempre si sente di affrontare lo scontro. Ma non ha un dubbio sulla direzione di marcia dei capitali, sul peso della mondializzazione, e quindi sull'appoggiare ogni possibile alleato nei movimenti. Sarà affar suo la battaglia della Fiat di Melfi. L'astronave, come la definisce Polo, calata dalla Fiat nel mezzogiorno, dove la Fiom sperimenterà non solo le pressioni e iniziative della proprietà, ma anche la difficoltà di far agire solidariamente fra loro dei lavoratori spaventati, non riuscirà a far muovere assieme quelli della Fiat di Termini Imerese con quelli di Melfi. Su di lui ancora più che su Sabattini piove l'accusa di «far politica» perché ricusa di anteporre la tattica del «governo amico» Prodi alle priorità del sindacato. Quando il segretario della Cgil Epifani accetta il «collegato lavoro» di Prodi, pena causarne la caduta, compie l'errore definitivo di quell'incerto governo, che cade lo stesso disastrosamente e trascina con sé tutta la rappresentanza della sinistra radicale.
Neanche un anno fa Rinaldini, finito il suo mandato, cede il passo a Maurizio Landini. Ed è Landini che dovrà scontrarsi, sempre in Fiat, con l'arroganza dell'italo canadese Marchionne, deciso a passare oltre non solo a qualsiasi pratica, ma legge e fin al dettato costituzionale a difesa dei lavoratori. Marchionne presenta un accordo inaccettabile, che Cisl e Uil firmano mentre si rifiuta ad esso la Fiom. Più sola che mai: sia l'ex segretario Ds, Fassino, sia il sindaco Pd di Torino, Chiamparino, dichiarano urbi et orbi «Se fossi un operaio Fiat firmerei». Marchionne procede senza Fiom, che vorrebbe fuori dai piedi e dai reparti, perfino senza Confindustria, da «padrone illimitato», non tenuto a niente e chiama i suoi dipendenti a un referendum lealista, con la minaccia di sottrarre la Fiat all'Italia. Il referendum passa ingloriosamente, quasi uno dei dipendenti su due ha votato contro; la Fiom non è eludibile. È più forte, nel numero degli iscritti e nel peso politico che non fosse venti anni fa. E anche se la Cgil esita a seguirla, Epifani, in uscita, si lascia sfuggire un «La Fiom aveva ragione» che la dice lunga.
* * *
Ma come può vincere un sindacato da solo? In Italia non c'è più una rappresentanza politica forte che si dica dalla parte del lavoro, come era stato il primo Pci e come sono state, fuori d'Italia, alcune socialdemocrazie. In Europa le confederazioni sindacali sono divise e patentemente in ritardo; l'essersi formate dentro uno stato e davanti a un capitale in massima parte nazionale le inchioda ancora nella incapacità di capire un padronato più di ieri mondiale, una proprietà che si scioglie o si riunisce sopra le loro teste, che gioca crudelmente sulle varianti del costo del lavoro nei paesi terzi e più negli emergenti, e in un'Europa che s'è unificata monetariamente sotto l'egida di un neo liberismo e nel tempo della massima finanziarizzazione, della quale i salariati subiscono tutte le crisi.
Questo è il quadro che ha davanti a sé la Fiom di Maurizio Landini (o, se si vuole, Maurizio Landini della Fiom). Questo sta alle spalle dello sconquasso della sinistra. O si afferra questo toro per le corna o si ha un bel dire che il capitalismo è in crisi - chi non ha capitali galleggerà per un poco sulle ultime richieste del mercato del lavoro, ma nel medio termine già ogni contrattualità, per non dire ogni autonomia, sarà perduta.

giovedì 21 ottobre 2010

giovedì 31 dicembre 2009

Baruch Spinoza

L'occaso, caligine d'oro, barbaglia
Sulla finestra. L'assiduo manoscritto
Aspetta, già pregno d'infinito.
Qualcuno costruisce Dio nella penombra.
Un uomo genera Dio. E' un ebreo
Di tristi occhi e di pelle olivastra;
Il tempo lo trasporta come trascina il fiume
Una foglia nell'acqua che discende.
Non importa. Il mago insiste e foggia
Dio con geometria raffinata;
Dalla sua debolezza, dal suo nulla,
Seguita a modellare Dio con la parola.
Il più generoso amore gli fu largito,
L'amore che non chiede di essere amato.

J.L.Borges